Hands – Intervista al compositore Lorenzo Paesani

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L’autore della colonna sonora (attualmente in lavorazione) di Hands é Lorenzo Paesani, nostro Hands Friend e musicista dotato, capace di comunicare il suo mondo sia con la musica che con le parole. Con lui abbiamo fatto quattro chiacchiere, per farvelo conoscere. Dell’importanza delle mani da una delle migliori definizioni che ci sia capitato di sentire in questi mesi di produzione, definendole “un canale di comunicazione verso il mondo esterno, mi permettono di dare forma alle idee e di definire meglio me stesso”.

Buongiorno Lorenzo. Esprimere il proprio mondo interiore è importante per un musicista, che deve imparare a canalizzare questa sua interiorità attraverso l’esecuzione sullo strumento. Per tutti coloro che non hanno un talento musicale, che consiglio daresti affinché possano trovare un “canale di comunicazione” nella propria interiorità, verso il mondo esterno?Bella domanda! Senza andare troppo sul filosofico direi che quello che aiuta me è stare in silenzio e svuotare la mente (sapendo che è impossibile), cercare di lasciarsi andare in qualcosa, imparandone le regole e poi negandole. Mano a mano che il campo si restringe identificare per esclusione un percorso personale e andare a vedere cosa c’è laggiù in fondo…cercando di comprendere i risultati di questa indagine con atteggiamento propositivo.

Dalla tua biografia si evince che sei stato un giovane talentuoso, sei stato un “bambino prodigio”? Se si dice che per fare il musicista bisogna cominciare molto presto tu, quanto presto hai cominciato? Bambino prodigio nel senso che ho iniziato presto lo studio di uno strumento sicuramente, ho iniziato all’età di sette anni con la musica classica. Prodigio nel senso di fama o di concerti dati da giovanissimo invece no, sono sempre stato interessato a molte cose in campo artistico e non ho mai avuto il senso di disciplina ferrea che occorre in giovane età per fare solo una cosa ai massimi livelli escludendo cose più importanti dalla propria vita. Ho scoperto presto che saper suonare benissimo Liszt o Ravel mentre i tuoi coetanei sono rivolti in un’altra direzione può portare a sentirsi isolati, diciamo che per me non poteva funzionare, preferivo guardarmi attorno e capire in maniera più ampia quali esperienze fare oltre alla musica, che è solo una piccola parte del mondo.

Guardando le mani di un uomo si può capire che lavoro fa. Quali altri lavori ti è capitato di svolgere nella vita, oltre al musicista? Lavori in senso stretto nessuno, ho molte passioni che coltivo avidamente, come quella per il cinema, in questo senso amo lavorare alle colonne sonore…finora sono in qualche modo sempre riuscito a sopravvivere grazie alla mia inclinazione e per ora sono in una qualche misura soddisfatto dei risultati. Vedrò quali frutti porterà il mio “lavoro” e cercherò di capire se dovrò dedicarmi ad altro. Intanto continuo il percorso.

Quando ti sei accorto che quello del musicista sarebbe stato il tuo mestiere, la tua prima forma di sostentamento? Hai mai fatto il “musicista di strada”? Mi sarebbe piaciuto fare il musicista di strada per un po’…effettivamente stavo andando in quella direzione anni fa suonando la tromba (il pianoforte è ovviamente un grosso ostacolo in questo senso). Poi ho realizzato che sentivo la mancanza dello strumento armonico, della prospettiva globale a livello di arrangiamento e composizione che il piano mi permette in quanto racchiude in sé tutte le linee strumentali, dal basso alle percussioni, dagli archi ai legni. Per come sono fatto io mi “spiega” come funzionano i brani che ascolto, quali e quanti strati sono celati nella composizione e in quale ordine sono impiegati per arrivare al risultato finale. E’ qualcosa di assolutamente affascinante.

Raccontaci il tuo processo creativo, c’è un metodo? Direi che uno in particolare non c’è. Dipende tutto da cosa voglio raggiungere. A volte basta sedermi al piano e suonare liberamente, senza paura, con la mente appena appena vigile, se occorre, per capire dove sto “andando” in quel momento. Altre volte detesto quello che faccio e l’estrema libertà mi sembra quasi una costrizione…penso che la bellezza dell’ essere musicista stia nel non voler afferrare sempre tutto, nel lasciare alcune cose senza una spiegazione, concedersi al mistero che c’è dietro l’evento creativo in sé. Una cosa fondamentale che dovrebbe essere sempre presente a livello puramente fisico è respirare bene, rilassati quanto più possibile, in maniera da assecondare il libero fluire delle idee.

Sei presente in rete su Itunes, Amazon e Jazzos. Tu, che ascoltatore sei? In quale formato compri? Fisico o digitale, ti piace ancora toccare il supporto musicale? Sono presente con quasi tutti i progetti a cui ho preso parte negli stores digitali, mi piace il concetto di avere la musica sempre a portata di mano e la possibilità di reperire rapidamente le informazioni. Compro ancora dei cd quando riesco perché credo sia giusto: come gesto di riconoscimento al lavoro e alle difficoltà enormi che il musicista vuole e deve affrontare affinché quel prodotto fisico veda la luce.

Quanto sono importanti i “riconoscimenti” e i “premi” per un musicista impro-jazz? Quanto la ricerca? I premi sono ininfluenti per valutare la profondità artistica del musicista, passeggeri e figli di alcune precise circostanze che (spesso) qualcuno ha confezionato ad arte…e la ricerca è tutto, in breve.

Preferiresti che si dicesse di Lorenzo Paesani che è un grande lavoratore o un grande genio? Beh, potessi scegliere direi un genio lavoratore! Scherzi a parte sono sicuro di non essere un genio e la realtà me ne dà prova costantemente, però quando mi dedico a qualcosa sono un lavoratore frenetico ed entusiasta, credo nelle mie idee e cerco di comunicarle con forza.

Si sa che le mani sono importanti, specialmente per i musicisti. Hai lavorato con personaggi del calibro di Paolo Fresu, Danilo Rea, Stefano Bollani e John Taylor, di chi sono le mani più particolari o caratteristiche? Ce le racconti? Mi fa piacere che citi alcuni musicisti che ho incontrato come insegnanti nel mio percorso, soprattutto il grandissimo John Taylor… ma le mani più incredibili che io abbia mai visto sono di Sviatoslav Richter, uno dei più grandi concertisti classici di sempre. In una foto con dedica a mio padre c’è un dettaglio delle sue mani sul piano e appaiono enormi, larghe e forti, pesanti e scattanti allo stesso momento. I tasti sembrano quelli di un piano giocattolo. E’ sicuramente qualcosa che permette di essere in una condizione fisica privilegiata per scegliere di suonare qualsiasi repertorio, di qualsiasi epoca.

Il jazz si suona sempre con una band, escludendo l’ambito dell’improvvisazione, qual è la tua formazione preferita? Le formazioni di avanguardia musicale con sede a Brooklyn. Artisti come Ralph Alessi, Tim Berne, Craig Taborn. Musicisti che riescono perfettamente ad usare formule diverse (da musica di difficile esecuzione molto scritta a temi completamente liberi dalla forma), per i quali improvvisare significa davvero dire qualcosa di sé e non solo suonare delle scale velocemente assecondando il desiderio di stupore che il pubblico cerca più o meno consapevolmente. Persone che ai concerti sanno farti vivere un’esperienza vera e propria, autentica e nuova che non hai mai provato prima e puoi provare solo essendo lì con loro in quel momento.

C’è un anticipazione rispetto al tuo lavoro che vuoi fare agli amici di Hands? Essendo un lavoro sulle mani, impiegherò nella colonna sonora molti strumenti percussivi (il pianoforte è uno di questi, ovviamente)…ma non vorrei sbilanciarmi…potrei decidere per contrasto di usare solo strumenti in cui l’apporto manuale è più ridotto (per esempio l’elettronica). Sono sempre le immagini a guidarmi nella scelta e suggerirmi una strada piuttosto che un’altra. E in ultima analisi non è detto che la mia sia la scelta definitiva giusta…e voi? Avete suggerimenti?

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