HANDS – Intervista al montatore Renato Lisanti

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Il regista dirige ma chi fa l’editing? Beh, un montatore professionista! Vi vogliamo presentare Renato, il montatore di Hands. Da pochi mesi è diventato padre di una bellissima bambina di nome Bianca.
È stato montatore di documentari socialmente impegnati come Buracos – L’Eredità del Diamante, girato principalmente in Brasile, de Il suolo minacciato – con la partecipazione di Luca Mercalli e di Si erano vestiti della Festa – documentario sulle barricate antifasciste della Resistenza nella Parma degli anni Venti.

Ciao Renato, innanzitutto vorrei parlare del lavoro che stai svolgendo per il Progetto Hands.
Il meteriale del nostro documentario consiste in contributi girati da persone diverse: in differenti formati, differenti risoluzioni. Materiale eterogeneo al massimo. Riesci a immaginare qualcosa di più complicato? Abbiamo ricevuto centinaia di contributi di qualsiasi tipo: dal filmato in alta risoluzione girato dal professionista al video amatoriale girato con il telefonino. Orizzontali, verticali, a colori o in bianco e nero, grandi, medi o piccoli, con audio o senza audio, pal, ntsc, 4/3, 16/9, 16/10 e via dicendo. Il primo lavoro è stato quindi quello di conformare tutto il materiale ad uno standard con cui lavorare. E’ stata una parte di lavoro molto tecnica che ci ha obbligato a fare delle scelte ancor prima di iniziare il lavoro vero e proprio. Tuttavia ci siamo anche divertiti a provare ad indovinare il tipo di videocamera o di smartphone con cui i contributi più interessanti erano stati realizzati.

In che cosa Hands, dal tuo punto di vista tecnico, si distingue e discosta da un documentario classico? Cosa intendiamo per documentario classico? Io non sono un vero esperto ma la mia sensazione è che spesso prevalga anche in questo genere la “necessità” narrativa: raccontare storie, creando personaggi. Niente di male: il cinema solitamente si regge sui meccanismi dell’identificazione e la narrazione serve appunto a questo. Ma in un documentario si possono percorrere anche altri sentieri perchè le esigenze possono essere diverse. Il documentarista solitamente si propone di restituire porzioni di realtà senza ricorrere alla finzione. Ma anche rinunciando alla finzione, quella rappresentazione è comunque il frutto di una “riorganizzazione” e ciò che vedremo sullo schermo sarà inevitabilmente un’interpretazione soggettiva della realtà, l’interpretazione del regista. Il documentario classico quindi interpreta la realtà in modo più o meno creativo e lo fa quasi sempre creando una narrazione. Hands invece è un esperimento affascinante proprio perchè ti mostra un percorso alternativo. Questo film infatti non parte da una storia, nè immagina dei personaggi.Ma la cosa più importante è che ha potenzialmente infiniti autori.In questo modo, moltiplicando la soggettività all’infinito, e rinunciando all’interpretazione di un solo autore, si avvicina ad essere un documento un po’ più “oggettivo” rispetto agli altri film “classici”. Sia chiaro, l’oggettività assoluta è un’utopia e l’interpretazione registica sarà inevitabile anche per Hands.Solo che qui viene rimandata alla fase di montaggio e la materia da riorganizzare non la sceglie il regista (se non nella scelta del tema appunto, le mani) ma tutti quelli che hanno mandato il loro contributo. E’ evidente che il punto di partenza di questo film, i suoi presupposti, sono assolutamente nuovi ed imprevedibili. Dal punto di vista tecnico è proprio la materia che è diversa: non hai un foglio di edizione o una sceneggiatura da seguire, ma tanti liberi “attacchi alla realtà” a cui dare un senso.

Come si racconta qualcosa senza usare le parole nel cinema? Come fa un tecnico dell’editing a esprimere le proprie capacità comunicative in condizioni così “estreme”? Il cinema ha raccontato senza parole per più di 30 anni e ci è riuscito benissimo. Poi è subentrato il sonoro e sembra che tutti si siano dimenticati di quella grande opportunità comunicativa che offriva il cinema muto. Chaplin fu forse l’unico a continuare a produrre film muti nell’epoca del sonoro ed era assolutamente convinto che nessun film parlato avrebbe potuto competere con un suo film muto (e forse in quei primi anni aveva ragione).
Raccontare senza parole oggi sembra impensabile ed è una scelta che in pochi fanno ma io credo che sia invece una grandissima opportunità. E il montaggio assume un valore ancora più importante nella costruzione del senso o della narrazione. Hai mai sentito parlare dell’ ”effetto Kulesov”? Lev Kulesov era un regista attivo in Russia all’inizio del secolo scorso che voleva dimostrare l’importanza del montaggio nel film. Nel 1918 fece un semplice e provocatorio esperimento: scelse un primo piano inespressivo di un attore e lo abbinò a 3 diverse inquadrature: un piatto di zuppa, il cadavere di una bambina, una donna nuda.
Interrogato dopo la visione, il pubblico si dichiarò assolutamente convinto di avere visto tre espressioni diverse nell’interpretazione dell’attore: aveva fame quando guardava il piatto di minestra, era triste e sconvolto quando guardava la povera bambina o eccitato quando al suo volto seguiva l’immagine della donna nuda. Era lo stesso identico primo piano. Lo spettatore non può fare a meno di creare dei legami e chi realizza un film non deve fare altro che guidarlo con il montaggio, con o senza parole.

Detto questo, quanto conta il lavoro del montatore, rispetto alle indicazioni del regista?
Semplificando e per come la vedo io, il montaggio costituisce una seconda regìa che fa il regista con l’aiuto tecnico del montatore. Quest’ultimo, oltre a proporre soluzioni tecniche o stilistiche ha il ruolo non semplice di dover pensare con due teste, la sua e quella del regista. Quando sei sicuro di sapere cosa vuole raggiungere il regista, sei sulla buona strada… ma allo stesso tempo è fondamentale che tu abbia un punto di vista meno coinvolto, più distaccato. Nello strano caso di Hands però, il montaggio ha rappresentato la vera scrittura del film e il montatore si è dovuto trasformare nella penna con cui il regista doveva scrivere. In quanto penna però, ho potuto cambiare spesso colore dell’inchiostro, di tanto in tanto lo spessore della punta, proporre il corsivo in alcuni momenti particolari.

Da che cosa si riconosce un bravo montatore?
E’ difficile dare una risposta a questa domanda. Posso solo dire che il ruolo dell’editor è importante anche perchè è il primo spettatore del film ed è con il suo punto di vista alternativo che deve confrontarsi continuamente il regista. Il valore del montatore dipende molto dal tipo di relazione che si instaura con il regista e da questo dipende in parte anche il valore e la bravura del regista. Poi chiaramente deve essere un tecnico preciso, ordinato, veloce e creativo, ma questo dovrebbe essere alla base.

Hai studiato Arti e scienze dello spettacolo a Roma. A cosa lavoravi in quegli anni? Che cosa ti porti ancora dentro di quella città così diversa da Parma?
In quegli anni oltre che di video, mi occupavo di teatro (opera, musical) come aiuto regista tuttofare. In teatro però non ero a mio agio e ho rinunciato subito dopo la prima (e ultima) regia: una strana produzione della Bohème a Civitavecchia. Così ho iniziato a dedicarmi solo alla produzione di video cercando di fare quanta più esperienza possibile. Ho lavorato per alcune tv locali romane e in alcune piccole produzioni. Poi ho scoperto di non essere a mio agio neanche a Roma, e sono andato via. Di Roma sinceramente non ho un bellissimo ricordo. Abbandonarla è stata una scelta comunque sofferta perchè avevo la grande ambizione di lavorare nel cinema e a Roma ci sono infinite opportunità in tal senso. Tuttavia ho preferito costruirmi prima di tutto la possibilità di poter conservare un buon livello di tranquillità mentale, cosa che nella capitale non riuscivo proprio a raggiungere. Sono venuto così a Parma, che è un universo completamente diverso ma forse più adatto al mio carattere. Come vedi, anche qui riesco a lavorare a qualche film interessante. Certo non è Cinecittà ma va bene uguale..

Una volta il montaggio su pellicola si faceva “a mano” (analogico), con forbici e tanta pazienza. Il progresso ci ha portato il digitale con tutti i vantaggi che ne conseguono. Della pellicola e del digitale in questi anni si è detto di tutto e il contrario di tutto. Tu da che parte stai?
Mah, io ho sempre lavorato col digitale e non avendo avuto esperienza diretta con la pellicola, non saprei darti una risposta precisa, se non teorica. Il digitale ha portato senza dubbio molti vantaggi: facilitato l’accesso agli strumenti, abbassato i costi e i tempi di produzione. Ma ha cambiato inevitabilmente anche il concetto di opera, rendendo possibile la diffusione sociale della creatività e semplificando la sua riproducibilità. Hands è la più evidente dimostrazione di come l’idea di opera assuma un significato nuovo. Prova a pensare alla realizzazione di un progetto come Hands prima del digitale…impossibile!
Allargando il discorso all’arte in generale a me piace leggere la sua storia come un progresso continuo verso forme sempre più complesse e articolate. Questo determina un alternarsi di momenti statici in cui le innovazioni vengono pian piano assimilate e momenti fortemente dinamici dove le conquiste tecniche e tecnologiche creano un fermento e una sperimentazione particolare. Oggi ci troviamo in uno di tali momenti dinamici, caratterizzato da una molteplicità di esperimenti che danno vita a nuove possibilità linguistiche e comunicative.

Lavorare in questo mondo ti piace ancora? Hai mai desiderato più stabilità, un lavoro differente?
Come ti dicevo, Parma non è Cinecittà e le possibilità di lavorare su dei lungometraggi o su progetti importanti è molto limitata. Io lavoro molto con le televisioni locali e anche se molti colleghi lo considerano un universo di serie b (ed in effetti spesso lo è) riesco a divertirmi lo stesso. Anche li ti trovi spesso a dover lavorare in condizioni estreme, con pochi mezzi e in tempi molto stretti. Hai però il vantaggio di non avere quell’ansia da prestazione che senti in progetti più importanti e quella libertà può stimolare in modo incredibile la creatività. Non desidero fare un altro lavoro, semmai mi piacerebbe fare questo lavoro meglio e avere magari un giorno la possibilità di sviluppare un progetto mio.

L’ultima domanda, cosa pensi abbia spinto coloro che hanno contribuito a Hands a partecipare fattivamente alla realizzazione di questo documentario?
E’ una domanda che mi sono posto anche io e sinceramente non mi aspettavo una simile partecipazione. Anche io ho partecipato come autore con un mio piccolo contributo e devo dire che ciò che mi ha spinto è stata solo una grande curiosità. Insomma, partecipare alla realizzazione di un film collettivo è un’esperienza che non capita tutti i giorni. Poi credo che ognuno abbia avuto un movente diverso, qualcuno ha anche usato questo strumento per fare delle rivelazioni personali, chiaramente usando le mani.

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